
Chi di voi saprebbe dirmi cos’è e a cosa serve l’oggetto fotografato qui sopra?
Credo che in pochissimi saprebbero darmi la risposta corretta, e probabilmente molto d voi non avranno mai l’occasione di vederlo dal vivo, ma in realtà questo aggeggino apparentemente insignificante lo utilizziamo quotidianamente quasi tutti. Quindi cos’è? Ebbene, è un ingranaggio della frizione della nostra auto. Per la precisione, è un ingranaggio rotto (dalla foto si vede dove è avvenuto il crac). Ma perché l’ho l’ho fotografato e ci faccio addirittura un articolo? Perché lui è il protagonista assoluto di una vicenda capitata alla mia famiglia qualche tempo fa, quando ancora non si parlava di mascherine, guanti, pandemie, sanificazioni ecc. Era il luglio 2019. domenica. Stavamo tornando da una visita meravigliosa da Adamo, nostro amico nonché titolare dell’azienda Mulino Val d’Orcia a Pienza nostro fornitore di cubetti e gigli di grani antichi, gigli di farro e pasta di lenticchie e di ceci. Dopo una visita all’azienda, una mangiata memorabile al loro ristorante e qualche momento di assoluto relax ci siamo rimessi in macchina verso casa e dopo qualche chilometro stoc! il pedale della frizione sprofonda e non torna più su. Saltando tutte le fasi intermedie della nostra avventura vi dirò che alla fine abbiamo trovato un meccanico al lavoro che ci ha prima recuperato con il suo carroattrezzi e successivamente riparato il guasto in officina.
Vi faccio ancora una domanda: secondo voi quanto potrà essere mai costato l’intervento dell’officina? Il problema era l’ingranaggio fotografato, nulla di più nulla di meno, ma dato che la nostra casa automobilistica non fornisce il pezzo di ricambio siamo stati obbligati a cambiare direttamente la pompa della frizione contenente il famoso ingranaggio di plastica protagonista di questa storia. Quindi alla fine il conto è passato da pochi euro potenziali a 180 € (escluso il recupero con il carroattrezzi).

Questo è un esempio perfetto di come le cose non devono andare. Quando si parla di riduzione di rifiuti ci concentriamo spesso sulle ultime fasi della loro gestione, in particolare raccolta e smaltimento; più raramente andiamo a monte della filiera del rifiuto, a cercare di capire se interventi efficaci potrebbero essere attuati per evitare completamente la produzione di certe tipologie di rifiuti. In questo caso un auto progettata diversamente, in un’ottica diversa da quella attualmente predominante sui mercati, avrebbe evitato a me una spesa assurda e “il sistema” avrebbe evitato di farci gettare componenti ancora in piena efficienza. La casa automobilistica avrebbe guadagnato meno nell’immediato, ma ci avrebbe guadagnato indubbiamente con la fidelizzazione del cliente. Sono certo che la situazione non sarebbe stata diversa con altre case automobilistiche, diciamo che per le aziende produttrici di auto e di molte altre tipologie di beni ormai è più conveniente sostituire anziché riparare.
Uno dei principi dell’economia circolare prevede che i beni presenti sul mercato devono essere progettati in modo da allungarne il più possibile la vita, facilitarne una eventuale seconda ed infine consentire un efficace ed agevole recupero delle materie prime. Tutto questo oggi non succede, parliamo anzi di obsolescenza programmata, ossia di beni costruiti prevedendo delle rotture dopo alcuni anni di utilizzo.
Oggigiorno definiamo “virtuose” le aziende che adottano comportamenti o procedure eticamente sostenibili, ma dovremmo arrivare a considerarle normali e semmai condannare quelle che non adottano pratiche ecosostenibili e obbligarle a rivedere le loro politiche con una forte pressione della società ed un adeguamento della normativa vigente.