Abbiamo aspettato un po’ di tempo prima di pubblicare questo articolo, perché quando andiamo a parlare di ciò che ciascuno di noi mette nel proprio piatto può succedere che gli animi si surriscaldino e che qualcuno si senta sul banco degli imputati o che possa sentirsi violato in uno spazio molto personale. Questo è dovuto al fatto che i propri gusti, le scelte che facciamo quando andiamo a fare la spesa hanno radici molto profonde legate alla nostra storia e a quella della nostra famiglia. Dopo aver riflettuto abbiamo infine deciso di scrivere questo articolo fornendo degli elementi che possano far riflettere ciascuno di noi. Tralasceremo volutamente gli aspetti etici sullo sfruttamento e sulla sofferenza degli animali, presenteremo piuttosto dei freddi numeri per dimostrare che gli allevamenti intensivi dovrebbero finire al centro di qualsiasi dibattito che abbia a tema l’ambiente e la salute del nostro Pianeta. Dunque cominciamo.

foto di Mercy For Animals Canada, fonte flickr
L’allevamento intensivo è una particolare attività agricola che non necessita di nesso funzionale con un fondo. Come ogni forma di allevamento, prevede la custodia, la crescita e la riproduzione degli animali, ma può essere svolta in ambienti confinati, anche in assenza di terreno sufficiente a garantire una produzione vegetale che soddisfi il potenziale fabbisogno alimentare dei capi allevati, lo smaltimento delle loro deiezioni e la percentuale tra superficie coperta e scoperta che contraddistingue gli insediamenti agricoli (wikipedia).
Fino a poche decine di anni fa gli allevamenti intensivi praticamente non esistevano, adesso circa settanta miliardi di animali ogni anno vengono “lavorati” negli allevamenti intensivi (pesce escluso). Queste fabbriche di animali, come tutte le attività industriali, hanno lo scopo di generare profitto, ma hanno anche un’altra caratteristica: scaricano parte dei loro costi di gestione sulla collettività. D’altra parte negli ultimi trent’anni il costo della carne per il consumatore finale è rimasto pressoché invariato, e quindi per generare profitto l’unica strategia efficace è stata quella di tagliare i costi. Quindi
- pazienza se le tonnellate di liquami degli animali allevati vengono dispersi direttamente sui terreni oppure filtrano nel terreno a causa di perdite nelle vasche che dovrebbero contenerli, devastando il terreno circostante e arrivando talvolta a contaminare le falde acquifere;
- pazienza se viste le pessime condizioni di vita a cui vengono costretti gli animali (immaginate 20.000-30.000 polli in un capannone senza finestre con a disposizione una superficie pari a meno di un foglio A4) per evitare malattie e infezioni negli allevamenti viene somministrata una quantità inimmaginabile di antibiotici (in Italia arriviamo al 70% del consumo totale di antibiotici), e che tale abuso stia contribuendo a creare dei super batteri resistenti ai farmaci e quindi metta a rischio la vita di tutti noi (33mila decessi in Europa ogni anno–> www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=67542);
- pazienza se gli allevamenti intensivi producono il 37% del metano prodotto dall’uomo e il 65% di ossido nitroso prodotto dall’uomo. Questi due gas sono rispettivamente 23 volte e 296 (duecentonovantasei!!) volte più impattanti sul riscaldamento globale rispetto alla tanto spesso nominata CO2, l’anidride carbonica. Complessivamente gli allevamenti intensivi producono il 14,5% delle emissioni totali di gas serra prodotte dall’uomo, valore questo ben superiore a quello relativo al settore trasporti mondiale nel suo insieme (su gomma, su ferro, aerei)
- pazienza se gli allevamenti intensivi consumano più energia di quanta ne producano. Alcuni esempi:
per produrre 1 kg di patate servono 500 lt d’acqua;
per produrre 1 kg di frumento servono 900 lt d’acqua;
per produrre 1 kg di carne di pollo servono 4 kg di vegetali e 3500 lt d’acqua.
E’ facilmente intuibile che se le tonnellate di vegetali e di pesce attualmente destinate al consumo animale fossero destinate al consumo umano potrebbero esserci nel mondo molte meno persone che soffrono la fame.
Nonostante tutto questo, la Fao (www.fao.org/3/i9166en/I9166EN.PDF) ci dice che le stime del consumo di carne per il prossimo decennio prevedono continui aumenti, seppur ad un ritmo più lento rispetto a quello stimato con studi precedenti.

gabbie in allevamento intensivo.
Il Pianeta non è più in grado di sostenere ulteriori aumenti della produzione di carne, anzi già oggi sarebbe auspicabile una netta diminuzione degli allevamenti intensivi. Ad oggi la foresta amazzonica viene letteralmente spianata per recuperare terreno agricolo da dedicare alla produzione di mangimi (www.scienzavegetariana.it/ambiente/imp_amb_vegag2004.html). Complessivamente l’80% delle terre coltivate sono destinate agli allevamenti intensivi.
L’Onu ha recentemente dichiarato che abbiamo 12 anni per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici (www.theguardian.com/environment/2018/oct/08/global-warming-must-not-exceed-15c-warns-landmark-un-report ), e che dopo tale termine sarà molto molto difficile tornare indietro. Gli allevamenti intensivi devono essere coinvolti in questo tentativo di salvataggio del Pianeta, negare questo fatto significherebbe semplicemente sprecare tempo prezioso.
Io ed Ilaria non crediamo sia necessario che tutta la popolazione mondiale diventi vegetariana o addirittura vegana da domani mattina, sarebbe una follia anche solo pensarlo, ma se tutti noi fossimo disposti a fare delle piccole rinunce tutti insieme potremmo ottenere risultati importanti. E’ un po’ la filosofia di Solo Peso Netto: cerchiamo di limitare al massimo la produzione di rifiuti, e ogni busta di plastica non utilizzata, ogni contenitore riutilizzato e non gettato nei bidoni dell’immondizia sono passi nella giusta direzione. Secondo questa politica dei piccoli passi potremmo scegliere di rinunciare fin da ora ogni tanto alla nostra fettina di carne, prima che questo diventi un imperativo per non andare incontro ad eventi climatici imprevisti e al di fuori di ogni controllo.
Chiudiamo suggerendo due libri estremamente interessanti per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento:
Farmageddon, il vero prezzo della carne economica – di Philip Limbery e Isabel Oakeshott
Se niente importa. Perché mangiamo gli animali – di Jonathan Safran Foer